UN CERTIFICATO CHE ATTESTA LA VERGINITÀ FEMMINILE. ROBA DA MEDIO EVO? NO, ATTUALITÀ: IN FRANCIA, DOVE ALCUNI MEDICI LO RILASCIANO SU RICHIESTA DELLA FAMIGLIA, STA FACENDO MOLTO DISCUTERE LA DECISIONE DI SANZIONARE QUESTA PRATICA (UNA MISURA CONTENUTA NEL DISEGNO DI LEGGE SUL SEPARATISMO CHE DOVREBBE ESSERE PRESENTATO ENTRO LA FINE DELL’ANNO).

C’è poco da discutere, verrebbe da dire. E infatti a parole sono tutti d’accordo nel voler abolire un certificato che, secondo l’Ordine dei medici d’Oltralpe, non ha “giustificazione medica e costituisce violazione del rispetto della personalità e della privacy della giovane donna (soprattutto minorenne) costretta da chi le sta intorno a sottomettersi”.

Le cose però sono più complicate di così, perché la vita reale a essere più complessa. E nella vita reale può capitare che un medico, pur condannando la pratica come barbara e sessista, decida di rilasciare il documento a una giovane donna “per salvarle la vita, per proteggerla perché è indebolita, vulnerabile o minacciata”, come recita un appello pubblicato sul quotidiano Libération da alcuni ginecologi.

Di solito le motivazioni sono religiose, ma non solo. Anche in Italia capita (e mi è capitato) che i genitori richiedano l’attestato di verginità nel caso la loro figlia appena adolescente debba subire un intervento (come per le cisti ovariche) che richiede il passaggio dalla vagina e l’inevitabile rottura dell’imene.

Il cuore del problema, evidentemente, non è certificato sì o no. Lo spiega bene l’appello citato sopra: sanzionare significa attaccare la conseguenza trascurando la causa, che è radicata nell’ignoranza e nella paura. Ancora una volta bisogna agire sull’educazione: per insegnare a tutti, maschi e femmine, che la verginità ha una valenza personale per ciascuno di noi, e sta nel valore che decidiamo di dare alla prima esperienza sessuale. Non può essere legata a un lembo di pelle né tantomeno usata per esercitare controllo – e quindi violenza – sulle donne.

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