CI AVETE MAI PENSATO? OGGI PER DEFINIRE UNA DONNA INCINTA SI USANO PARAFRASI GENTILI COME “IN DOLCE ATTESA” O “IN STATO INTERESSANTE”.

Ma i termini originali, in qualunque lingua li si declini, alludono in maniera più diretta, fin quasi brutale, alla dimensione più concreta della gravidanza, a quel gonfiare e lievitare del ventre sotto il peso del bambino.

Così il termine gravida deriva dal latino gravis, pesante, mentre incinta (senza cintura) è in realtà una reinterpretazione del termine usato nell’antichità per gli animali (inciente) senza riferimenti alla cinta, ma solo al gonfiore. Lo spagnolo embarazar deriva invece dal portoghese baraca, che significa laccio o corda, dunque qui sì con un riferimento diretto alla cintura: ma con processo contrario a quanto avvenuto in italiano oggi quel significato si è stemperato a favore dell’idea di imbarazzo, ovvero di ingombro. E che dire dell’inglese to bear, dal doppio significato di partorire e sopportare (frutto della radice bher-), da cui deriva il termine burden (carico)?

Insomma, termini in apparenza lontani, siano essi di remota origine celtica o indoeuropea, conducono tutti lì, al nascituro inteso come fardello. Ma non c’è da stupirsi perché nell’antichità di bambini ne nascevano tanti e tanti ne morivano piccolissimi, cosicché le gravidanze, per una stessa donna, erano un fenomeno continuo e naturale, e quel peso da portare diventava quasi una condizione costante. 

I nostri eufemismi suonano senz’altro più zuccherosi, ma riflettono anche una diversa e certamente più felice visione della maternità.

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