CI SONO DATI CHE FANNO CADERE LE BRACCIA. COME QUESTO: IN ITALIA, TRE QUARTI DELLE DONNE CHE HANNO LASCIATO IL LAVORO TRA IL 2011 AL 2017 SONO (O MEGLIO ERANO) MAMME.

Il loro numero in sette anni è raddoppiato, da 17.175 a 30.672.

Non sono cifre astratte: è la realtà quotidiana con cui si scontrano tutte le donne che faticano a conciliare figli e attività professionale. Dietro una mamma che “sceglie” il bambino e la famiglia c’è senza dubbio una motivazione d’amore, ma il punto è che spesso non si tratta di vera scelta. La cura domestica è culturalmente considerata appannaggio femminile: il divario tra il tempo che lei e lui dedicano ogni settimana alla famiglia è abissale, poco più di 8 ore i padri, quasi 30 le madri.

Di fronte a frasi come “Regalerei il mio stipendio a una baby sitter” che tante mie pazienti immancabilmente pronunciano, la mia risposta è sempre la stessa: “Non si tratta del SUO stipendio, ma di quello di entrambi”. Come di entrambi è il bambino. Credo moltissimo nell’indipendenza economica delle donne, che fa la differenza tra una scelta e (di nuovo) una non scelta, anche quella di ridiscutere la propria vita o il proprio matrimonio. E sappiamo quanto sia dura rientrare nel mondo del lavoro una volta che lo si sia “temporaneamente” lasciato.

Già. Perché, al di là di una più equa distribuzione dei carichi familiari, resta il fatto che una donna con figli, nella maggior parte dei casi, è considerata dalle aziende un peso e non una risorsa quale effettivamente è: la maternità è una grande palestra per ampliare gli orizzonti, le capacità organizzative e di problem solving, la gestione del tempo, e una mamma è sempre, per forza di cose, multitasking. Tutte caratteristiche che si rivelano preziose sul lavoro e per la crescita professionale. Come ben sa l’imprenditrice Riccarda Zezza che con la sua piattaforma MaaM – Maternity as a master gira l’Italia, e il mondo, per spiegarlo alle aziende.

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